L'Italia è un paese conosciuto e anche fissato su una struttura culturale di decentramento storico. La provincia italiana non è esattamente una provincia come si intende nei paesi che hanno avuto principalmente, dal Rinascimento in poi, una tradizione culturale altamente centralizzata. Per molti anni si è detto di Parigi e di Londra che queste due metropoli erano il nucleo attivo circondato da un deserto territoriale, da provincia per l'appunto. Non è il caso dell'Italia. L'esempio dello STUDIO F22 di Palazzolo sull'Oglio è abbastanza significativo. Per trent'anni Franco Rossi ha cercato di crear e in quest'ambiente bresciano un po' isolato, una corrente di comunicazione viva attraverso una programmazione scelta e coerente. Si potrebbe parlare, volendo, anche come omaggio alla sua pubblicazione, giacché Franco Rossi si è costruito una linea analitica dell'arte che presentava. Parlando in modo personale, mi ricordo della presentazione di una mostra di Eugenio Carmi che feci proprio nella galleria, venticinque anni fa, e mi sono reso conto che il lavoro del gallerista, come lo intendeva Franco Rossi, non era solo un fatto puramente mercantile, era anche una specie di servizio culturale, pubblico. Lui creava, in questi vernissages, l'ambiente di una festa della comunicazione. Il pubblico veniva perché era legato a Franco Rossi da una specie di patto di complicità; veniva questa gente della provincia, perché aveva capito che quest'uomo era capace di calamitare informazioni, confrontazioni, ed era anche capace di far venire dei protagonisti della cultura e dell'arte contemporanea in progresso. È un ambiente abbastanza raro che ho trovato da lui e che credo, essendo sempre fedele alla sua visione, rigorosa e controllata dell'arte, ha fatto delle mostre importanti come: Aubertin, Dorazio, Perilli, Bonalumi, Le Parc, Eielson, Tornquist .. Quest'uomo ha una visione dell'arte legata ad un rigore di linguaggio temperato da un calore affettivo. È un uomo preparato, attraverso la sua passione, a far vivere questa situazione. Quindi, ci vuole, questo tipo di fede realista; Franco Rossi rappresenta ciò. Egli ha saputo, in trent'anni di attività e di lavoro intelligente, creare come una struttura di segnali e di ricordi che fanno parte della cultura viva della Lombardia profonda. In questo senso, quest'uomo merita non solo la mia stima, ma anche il diritto ad essere considerato come un grande operatore culturale.
Pierre Restany
Ho sempre ritenuto che la memoria sia molto importante e che il passato vada ricordato, anche per le generazioni future. Nel caso di Franco Rossi, gallerista e collezionista, eccoci a un traguardo: sono trascorsi trent'anni della sua attività artistica, in una cittadina che si chiama Palazzolo sull'Oglio. É un nome che mi è caro, perché molto tempo fa, quando era vivo il mio compagno Carlo Cardazzo (proprietario della Galleria del Cavallino, a Venezia; della Galleria sul Naviglio, a Milano; e della Galleria Selecta, a Roma, con Vittorio Del Gaizo), sentivo spesso citare questo luogo. Cardazzo aveva lì un amico pittore, Matteo Pedrali, che gli scriveva e gli diceva di aspettarlo, per una visita. Un giorno ci recammo da quelle parti. Fu una gita bella e poetica. Eravamo giovani e innamorati. Il fiume Oglio mi apparve fresco e azzurro, tra le rive verdi di erba alta, con tanti alberi intorno, e un cielo limpido che, verso sera, si impigliò nei veli dolcissimi di una nebbia profumata. C'erano anche due chiese interessanti, che visitammo: quella Parrocchiale, con la facciata di Luigi Donegani, e l'altra, dedicata a San Giovanni Evangelista. Adesso, a distanza di anni, vi sono ritornata. Ero in compagnia di Roberto Bricalli, scultore, che ha esposto da Rossi. Ci fermammo brevemente, perché dovevamo andare a Milano. Sono entrata allo Studio F.22 ( così si chiama lo spazio su tre piani, che Franco Rossi adibisce alle mostre) e mi son o trovata coinvolta tra opere astratte di forte qualità, tutte coloratissime. Ho riconosciuto i quadri di artisti contemporanei di fama internazionale tra i quali stavo a mio agio, perché l'arte, da sempre, fa parte della mia vita. Franco Rossi ormai è un amico; gli auguri che gli mando con questa testimonianza sono sinceri. Non è facile continuare nel suo lavoro, rimanendo separato dagli ambienti delle grandi città, ma è nobilissimo perseverare. Bisogna portare avanti la cultura, afferma Rossi. Lo fa con uno slancio colmo di passione, e una esuberanza che lo mantengono dinamico e sempre attivo. Intorno alla sua galleria c'è ormai un gruppo fedele di collezionisti. Anche sua figlia Laura Virginia va avanti nella stessa direzione. Tutto è ordinato e rispecchia i sentimenti interiori. Credo che il più bell'elogio per Franco Rossi sia questo: il suo programma è a lungo termine, e lui, nelle sue imprese, guarda lontano.
Milena Milani
Per i quarant'anni dell'attività espositiva dello "Studio F.22" di Franco Rossi, e più in generale sul nodo dei rapporti tra arte e scienza, ci sembra essenziale conoscere il punto di vista di Gillo Dorfles, storico dell'arte e studioso di estetica di livello internazionale.
Qualcuno ha sostenuto che l'arte contemporanea è adulta e sta perfino invecchiando per quanto riguarda le sue forme simboliche, i processi ideativi. Ma essa è disponibile, anche in tale prospettiva, a sperimentare le nuove pratiche che le arrivano dall'universo suggestivo della telematica e dell'elettronica. Del resto, l'astrazione di senso nelle arti visive di cui ha parlato Lyotard deriva oggi, più ancora che nell'epoca di Benjamin e Adorno, dalla penetrazione delle tecnologie nella produzione, diffusione e ricezione delle immagini. Non di meno, non si può considerare superata la pratica pittorica svolta da maestri cinetici del calibro di Le Parc, Garcia Rossi, di Tornquist e di Stein, tanto per citare quattro artisti proposti dallo "Studio F. 22".
Che cosa ne pensa?
Non c'è dubbio che non è possibile comprendere la situazione artistica dei nostri giorni se non si tiene conto degli sviluppi avuti dalle varie tecnologie del nostro tempo: a cominciare dall'elettronica, fino all'informatica e a tutte le forme più recenti che la scienza ha sviluppato. Le dico che non si può, perché effettivamente in ogni periodo storico abbiamo visto svilupparsi nuove forme artistiche in base alla scoperta di determinate tecniche: dall'epoca degli egiziani fino a quella dei giapponesi del periodo Edo.
Però oggi c'è qualcosa di diverso e di più: la frattura creata proprio dall'evento dei mezzi elettronici. Per la prima volta l'uomo non si è più trovato di fronte a strumenti che potevano essere considerati come un prolungamento dei propri arti, ma ha cominciato a usare mezzi che in un certo senso sostituivano il suo pensiero oltre che la sua manualità o la sua téchne, nel senso greco della parola. Naturalmente tutto ciò non significa l'abolizione delle forme artistiche del passato, come dimostra l'ottimo livello delle proposte avanzate in questi ultimi quattro decenni dallo "Studio F. 22".
Questa età di oscillazione inarrestabile del senso potrebbe essere spiegata in arte anche come vertiginoso work in progress inevitabilmente legato all'evoluzione tecnologica?
In realtà, credo che questo rapporto tra arte e scienza sia quasi sempre un rapporto analogico piuttosto che effettivo: analogico nel senso che anche la scienza si basa molto spesso su un intuizione immaginifica prima di arrivare alla formulazione effettivamente scientifica. In questo senso si potrebbe dire che anche la scienza è creativa come è creativa l'operazione artistica di un Vasarely o di un Munari, di un Bill o di un Veronesi, tutti artisti presentati dallo "Studio F. 22".
Floriano De Santi
I. Il volto del collezionista-mercante.
Il concetto di armonia e di simmetria proposto nel Filebo pone Platone nella situazione di poter supporre non soltanto una contemplazione della bellezza dell'arte, come nel Simposio e nel Fedro, ma anche una composizione attiva del mondo attraverso l'armonia e la simmetria con un archetipo che avrà immenso successo nell'estetica moderna: diphilokalia, amore di bellezza, come sinonimo di phdosophia, amore di sapienza. E arte è sempre scaturita da una convergenza tra negativo e positivo, tra essenza e presenza, tra cosciente e visionario, e si è abbandonata costantemente all'ossessione del chòra' . Del luogo di passaggio, soglia tra le polarità contrastanti, ha fatto il suo universo di manifestazione, tanto che si è istituita come membrana, vera genesi di un attimo in cui le unità separate transitano l'una nell'altra. Del resto, Heidegger afferma nelle sue "lezioni" su Nietzsche2 che nel platonismo non c'è dissidio tra l'arte e la verità, ma solo una distanza, che non è di ordine quantitativo bensì di ordine gerarchico, là dove la bellezza sarà posta — per così dire — come la porta aurorale del paese della conoscenza.
La metafora del chòra attraversa tutta la cultura occidentale, fino al Poliziano, fino a Baudelaire, che parla della città, il luogo dell'erranza nel moderno, come d'una selva, o Musil, che inizia L'uomo senza qualità con l'immagine di ciò che non ha confini: con l'immagine della silva3, del labirinto in cui ci si perde e in cui tutto il possibile può avere generazione. Nel 1646 Cartesio, uno dei padri del pensiero contemporaneo, incontra a E Aia la sua regale amica Elisabetta del Palatinato. La giovane principessa, che cerca di alleviare l'esilio meditando, chiede al filosofo di scriverle un parere su un libro scandaloso che le interessa molto: Il Principe di Machiavelli. A Cartesio il libro non piace; gli sembra un'opera triste e crudele, che dà il senso della malvagità dei potenti e della sventura dei popoli: quei popoli — soggiunge — che hanno sete di giustizia, e che per la giustizia sono disposti a sopportare tutto, ma non l'arroganza del potere.
Con ciò Cartesio non intende ripetere una generica condanna moralistica; trova, anzi, pieni di verità i Discorsi. Rimpiange che Il Principe, specchio della malvagità dei potenti, possa divenire scuola d'iniquità. A Elisabetta, invece, Il Principe fa una grande impressione. Se Machiavelli ha sbagliato — replica — il suo errore è quello stesso dei Padri della Chiesa: ha generalizzato fino al paradosso alcune esperienze, ma erano esperienze reali, nate dalla conoscenza della natura umana quale è, senza veli. Con il dialogo fra Cartesio ed Elisabetta siamo ormai nel gran secolo della scienza. Interlocutore nel campo delle scienze dell'uomo resta Machiavelli, quel Machiavelli, che anche un'altra allieva regale di Cartesio, Cristina di Svezia, medita e postilla; interlocutore nel campo delle scienze della natura è, di nuovo, un toscano, Galileo, la cui condanna segna così profondamente la vita del pensatore francese.
Ma non può neppure passare sotto silenzio una di quelle coincidenze fatali, in cui sembra quasi esprimersi un ritmo segreto della storia. Due opere decisive per le origini della scienza moderna, i Saggi di Cartesio e i Discorsi di Galileo, e cioè la nuova "geometria" e la nuova "fisica", vengono alla luce nello stesso luogo, nell'ospitale Leyda, la città dei Paesi Bassi che vede nascere Rembrandt e Jan Steen, e quasi nello stesso tempo, fra il 1637 e il 1638. Né si deve dimenticare che Descartes, alias Cartesio, teorico della musica, fa conto anche delle osservazioni musicali di Galileo, rimandandoci così a Vincenzo Galilei e alla "Camerata Fiorentina", nonché a tutta la tematica delle armonie cosmiche. Da Machiavelli a Galileo la nuova scienza dell'uomo e del mondo, aperta all'idea dell'harmonia mundi, conferma e sviluppa le sue radici nella peripezia teorica e geniale di Walter Benjamin, che si disegna attraverso tutti i suoi saggi, e soprattutto nel Passagen-Werk, come ìl più straordinario arabesco del XX secolo, in cui affiorano i volti di Kafka, di Aragon, di Proust, ma soprattutto quello del collezionista-mercante d'arte.
Quest'ultima figura, che percorre tutte le pagine del Passagen-Werk, è una delle più importanti strategie epistemologiche di Benjamin: è il tentativo di trovare un altro ordine, anche se questo è simile all'ordine pietrificato dell'allegoria barocca di Cartesio e di Galileo. "Lo Zimbaldone — scrive il filosofo berlinese, e il Passagen-Werk è uno Zimbaldone — ha qualcosa del collezionista e del fldneur" . Il simbolo è un abisso, e il proprietario di cose e di sensazioni, come il Balzac della Comédie humaine, cerca di proporle alla sua collezione come l'immagine allegorica della totalità del mondo trattenuta sull'orlo di quell'abisso. Ma se egli è un vero collezionista-mercante, come lo è stato per quarant'anni Franco Rossi con il suo "Studio F. 22" di Palazzolo sull'Oglio, o come lo stesso Benjamin nel Passagen-Werk, questo ordine sarà spezzato inesorabilmente, svelando il carattere interminabile, l'arabesco infinito dell'allegoria.
II. La geografia del "connaisseur".
E arte che ama e predilige Franco Rossis nasce ed abita — come ho già accennato — sulla soglia: tra astrazione e figura, tra materia e forma, tra visione interiore e realtà esteriore, tra presente e passato. Abita su una soglia che non è limen, confine né separazione, ma luogo, passaggio disponibile agli attraversamenti, permeabile a transiti e ritorni. Sul chòra l'arte vive nella dimensione di una perenne fluidità che mette in scacco le certezze delle cronologie e vanifica l'esercizio rassicurante della filologia. E al centro del suo lavoro di gallerista che è scaturita una continua perturbazione dei complementari, tra naturale e artificiale, materiale e diafano, espressivo e concettuale, razionale e fantastico, tanto che l'opera "importante" risulta per lui uno spazio trasparente, aereo come un dipinto di Julio Le Parc o di Keizo Morishita, dove incessantemente si sono intrecciate le pulsioni e le ragioni dell'individuo creatore. In effetti, l'arte come "progetto e destino", per parafrasare il titolo di un famoso libro di Giulio Carlo Argan6 che ha fatto storia, si è posta come cerniera tra cielo e terra, tra carne e spirito, tra Logos e Kosmos.
Non compiacendosi mai di essere un utopico connaisseur des arts (chi ne ha il coraggio oggi?), Rossi ci porta a "visitare" le sculture o le pitture degli autori che ospita nella sua galleria, limitandosi spesso a dire che "in ogni opera è misteriosamente racchiusa tutta una vita"7 . Essa diventa metafora di una tensione tra forze poetiche opposte, una condensazione di valori che tendono al centro della creazione per attivarsi reciprocamente, aprirsi all'inedito e mettersi in discussione per perseguire modalità di collezionismo diverse e più ricche di esistenza. Se l'opera d'arte è la rivelazione o l'espressione, "par le sentiment, la passion et la reverie de chacun" — come ci suggerisce già Baudelaire8 — il gallerista dovrà saper cogliere questo aspetto della natura inventiva entro le forme e i modi di comunicazione più molteplici e lontani dai condizionamenti delle mode. Si tratta di un'esigenza che però nessun sistema o criterio scientifico, erudito o teorico, possa soddisfare: soltanto l'intuizione, aiutata dalla più aperta volontà di conoscenza e d'immedesimazione, porterà alla comprensione e al giudizio.
È il momento più sottilmente problematico e più alto del progetto culturale di Franco Rossi per il suo "Studio F. 22": il più fragile, ma anche il più illuminante, credo. E attitudine a far convergere nel suo lavoro espositivo il realismo esistenziale di Giuseppe Banchieri e di Giovanni Cappelli con lo spazialismo di Lucio Fontana e di Gianni Dova, l'astrattismo geometrico di Piero Dorazio e di Luigi Veronesi con la ricerca cinetica e programmata di Victor Vasarely e di Horacio Garcia Rossi, l'alfabeto segnico di Giuseppe Capogrossi e di Emilio Scanavino con il surrealismo di Joan Miro e di Graham Sutherland, ha significato per Rossi optare per un itinerario labirintico, per una geografia che si è addentrata nella cavità dell'imponderabile e dello sconosciuto al fine di covare una continua epifania. Cercando l'unione o l'integrazione tra gli opposti, ha sostenuto l'eidos di un innesto quale processo che privilegia l'incrocio tra le forme e tra i linguaggi. Al pari di grandi gallerie come il "Naviglio" di Carlo Cardazzo9 o la "Borgogna" di Gianni Schubert, lo "Studio F. 22" di Rossi ha privilegiato un incontro tra i contrari che sembrano preferire il tema del "doppio" e l'aspirazione oracolare e statuaria della Sfinge che, come recita il frammento di Eraclito, non rivela e non nasconde, ma dà segni, semanei. Qui una figura sostiene i diritti dell'altra — il "New Dada" di Robert Rauschenberg anticipa la "Pop Art" di Andy Warhol così come l'informale di Jean Fautrier prevede il materismo di Alberto Burri —, fa valere l'istanza di un corpo che nasce da schegge provenienti da contrasti diversificati e contrari. Per questo l'opera d'arte è sempre inquietante, porta silenziosamente il carico dell'enigma della bellezza, che s'impone direttamente e misteriosamente come materia nel senso più forte della parola: una materia evocata e percorsa da principi metamorfici, che sembrano penetrare "fino al centro della forma poetica"1O .
Ma vorrei ormai abbandonare questo principium che ingombra e un poco infastidisce il ritratto della personalità di Rossi, per continuare solo a intendere la qualità del suo modo di essere "collezionista" e il valore del suo rapporto con l'opera d'arte. Mi sembra decisivo che all'origine di tutte queste cose ci sia un atto d'amore, un moto d'amore; è questo infatti un legame, una corrente, un passaggio, indispensabili alla formazione di una vera umanità e forza ermeneutica. E allora il rapporto con l'oggetto d'amore deve essere diretto; emoziona la presenza e non la fotografia, e solo in parte il ricordo. E abbiamo detto: l'opera emana qualcosa di misterioso dove l'armonia, puntualizza Lévinas in Trascendenza e intelligibilità, "ha sempre luogo all'interno di una invalicabile dissonanza"11 ; vive nella sua materia, nel suo colore, nella sua forma; bisogna vederla, ammirarla, meditarla, toccarla. Il collezionista che è Rossi ha bisogno di questo: di stare in presenza dell'opera d'arte, e non certo per idolatrarla, non per subire il fascino dell'aura, anzi per poterla trattare familiarmente, per avere un rapporto vivo, carnale e spirituale insieme, da amante.
È questa la ragione per cui Rossi ha diretto per quarant'anni lo "Studio F. 22": questa anche la ragione per cui s'infervora, con tanto entusiasmo, e fatica e viaggi e ricerche e patimenti12, a organizzare grandi rassegne quali Big & Great nel 1994, Le geometrie dell'Universo nel 1997 e Dall'analisi iconica allo spazio totale nel 2002. Il suo rapporto con l'arte è, in tal modo, umano, diretto, di coinvolgimento; il giudizio ne risulta parziale, come tutti i giudizi autentici ed originali, ma sincero, appassionato, quasi istintivo e irrefrenabile. Si fa aiutare da artisti come Achille Perilli a dire ciò che è: "La sua carica di amore per la pittura si trasmette immediata e dirompente su chi ha la fortuna o la sfortuna di averlo di fronte e raramente può sfuggire. In quell'immaginario bestiario ove noi uomini troviamo un modo di rappresentarci, l'animale che più corrisponde a Franco Rossi è indubbiamente un rinoceronte, ma non quando pascola: quando carica un avversario che ha di fronte. Per fermarlo bisogna colpirlo sulla fronte tra gli occhi, ma non con un fucile, bensì con un quadro, astratto naturalmente..."13 .
È la sensibilità per i fatti, le opere cioè, dell'arte visiva, a sostenere una tale sicurezza; una sensibilità che egli possiede molto forte, come un vibrare interno di fronte all'opera, una lenta e duratura commozione, un richiamo, un repéchage di una "voce che suona". Sono cose, o effetti, rari da incontrare, poiché molti collezionisti, e spesso anche i conoscitori arrivano alla consonanza, e quindi all'attribuzione e al giudizio per accumuli di conoscenze, di esperienza, di studi, di incontri con gli artisti, di rapporti culturali. È ciò che accade anche a Franco Rossi naturalmente, ma in lui queste accumulazioni sono tenute insieme da quel legante primario della sensibilità. Ha del connaisseur quella capacità che è sempre così sorprendente di cogliere subito i rapporti tra un'opera e l'altra, tra un autore e l'altro, tra una stagione e l'altra, e anche i rapporti più distanti, nello spazio e nel tempo, i più insospettabili, i più ingiustificati secondo le usuali regole del mercato; e di tessere con quei rapporti la trama delle corrispondenze e dei flussi sotterranei che corrono fitti entro il terreno su cui cresce la storia dell'arte contemporanea.
III. I "lavori in corso" dell'avanguardia.
Le gallerie private sono delle istituzioni non meno valide di quelle pubbliche. Anzi, in qualche momento della nostra storia recente hanno assunto responsabilità preponderanti, decisive. Che cosa sarebbe stata la nostra vita artistica, negli anni Sessanta e Settanta, se appunto non avesse potuto contare nel contributo di gallerie come il "Milione" a Milano, l"Approdo" a Torino, la "Forni" a Bologna, 1"`Editalia" (poi divenuta " Edieuropa") a Roma, quando l'intervento dello stato e degli enti locali era totalmente carente? Dove andare per informarsi, per avere un contatto materiale con le opere dei "lavori in corso" — per citare una felice espressione di Eugenio Battisti~4 —, sia italiane che straniere? E quali strumenti avrebbero avuto a loro disposizione i giovani critici per fare le loro prime prove, se non ci fossero stati i cataloghi stampati dalle gallerie private, a fornire come tante palestre efficaci, di pronto e puntuale intervento? E dunque la storia di simili istituzioni s'intreccia profondamente con quella della ricerca "come essenza della civiltà, unica possibile congiunzione di passato e futuro, so-sein e eide"'S. Ed è pertanto un obbligo rifare una tale storia, quando attinga all'ampiezza quarantennale che ora può vantare lo "Studio F. 22". Nel 1968 si apre a Palazzolo sull'Oglio, in due ambienti di pochi metri quadrati, la galleria di Franco Rossi. Esordisce con una rassegna emblematicamente intitolata Accrochage, che presenta opere di maestri storici come Giorgio de Chirico, Gino Severini, Carlo Carrà, Massimo Campigli, Ottone Rosai e Arturo Tosi, e pittori come Giuseppe Banchieri, Franco Rognoni, Attilio Alfieri, Remo Brindisi, Ibrahim Kodra e Giovanni Cappelli. Questi artisti non sono raggruppati da Rossi intorno ad un programma, ma ad una direzione di ricerca: l'esame di una situazione, la verifica di certi valori, l'esperimento di sviluppi possibili. La pittura di materia e di gesto di un decennio prima ha eliminato lo spazio e il tempo come categorie a priori, precedenti ad ogni apparizione di immagine; ma l'immagine, benché situata fuori di uno spazio e di un tempo dati, realizza ancora una condizione di spazio e di tempo inseparabili dall'estensione della materia policroma.
Come i maestri non rinnegano il novecentismo di "Valori plastici"16, così i giovani pittori non rinnegano l'Erfahrung, l'esperienza dell'Informale ma ne traggono le conseguenze: al principio è l'immagine, e l'immagine crea uno spazio e un tempo, che non sono concetti metafisici, ma ancora immagini, e immagini finali, ultime di un processo che implica (di cui perciò si vogliono bruciare gli
stadi intermedi) tutta l'esistenza. In questa stagione, d'altronde, l'epistemologia cerca di elaborare una nuova idea della vita, nella sua dimensione filosofica prima che psicologica, definendo il comportamento di un paradeigma che viene separato dal principio di necessità per incontrare il principio di utopia. Stiamo, ovviamente, ancora una volta evocando il volume Progetto e destino di Giulio Carlo Argan, pubblicato nel 1964, in cui, prefigurando un passato astorico, "ci si è rivolti all'arte, come quella che, tra le attività umane, pare più irriducibile al destino, più libera, più disinteressata, più cosciente del valore autonomo del fare; proprio perché da molti si pensa che l'arte non nasca dalla volontà e dalla ragione. Si chiede all'arte il rimedio al destino che gli uomini si sarebbero dati per un eccesso di volontà e di ragione"~7.
Potremmo anche ricondurre questo pensiero arganiano alle origini stesse della cultura europea contemporanea, là dove s'individua la posizione logica dell'essere e del divenire, di ciò che permane e di ciò che diviene, dell'identità e della differenza. Così facendo avremmo ancora una giustificazione di ordine storico senza però riuscire a individuare modi e forme della catastrofe, cioè di quel nuovo che presupponiamo emerga negli anni Sessanta. Dove sta questa condizione di novità? Sta di fatto che, pur rimanendo nei modi dell'utopia, si può intervenire sulla struttura che regola il rapporto tra necessità e cose, identità e differenza. Il nuovo non è logico, è fattuale: si può modificare lo statuto, la matrice, il dato che si pone come fondamento, divenendo un prodotto e non ciò che giustifica aprioristicamente l'esistente. Ilnuovo estetico si apre nell'identificazione tra potenzialità teorica e fattualità pratica, tra pensare ed agire Anche la mutazione da sempre pensata come originaria, quella che ha permesso in Italia il passaggio nel Cinquanta dall'inorganico del neocubismo all'organico dell'informale, appartiene all'utopia della bachelardiana matière che ricorda, al "ricordo che non ricorda".
Forse suggestionato da un maître penseur come Bruno Munari, nel 1973 Rossi inaugura Proposta per una collezione, che vede nelle pareti della nuova sede dello "Studio F. 22", in piazza Zamara, quadri di Lucio Fontana, di Victor Vasarely, di Alberto Burri, di Hans Hartung, di Giuseppe Capogrossi, di Piero Dorazio, di Enrico Castellani, di Emilio Scanavino, di Achille Perilli, di Luigi Veronesi, di Agostino Bonalumi, di Valerio Adami, di Jorrit Tornquist e, dulcis in fundo, di Munari. Dopo anche le mostre personali di Eugenio Carmi nel 1974, di Hans Glattfelder nel 1975, di Mario Nigro nel 1976 e di Rafael Perez nel 1979, l'indirizzo principale della galleria palazzolese è indubbiamente quello strutturalista dello "scavo" astrattista che ha la sua "stringa", il suo filo e i suoi intrecci, nella linguistica di Michel Foucault de Les mots et les choses del 1966 o nella "decostruzione" di Jacques Derrida de L'écriture et la difference del 1967.
E analisi e la programmazione della percezione e del movimento diventano il terreno della ricerca iconica: la "bellezza" ora possiede i segreti della Gestalt e ogni opera è un esperimento condiviso, l'atelier diventa agorà e laboratorio. E equilibrio, le sintesi tra scandaglio artistico e scienza, costituiscono la ragione nuova dell'utopia, il thesaurus in fieri della coscienza creativa. Diversamente da quanto accade per le `Avanguardie storiche", il progetto dell'artista scende in campo direttamente, non più sotto le spoglie dell'allegoria pittorica, qualunque essa sia, bensì con i mezzi propri dell'intelligenza, individuale e collettiva. È in quegli anni che il "Veggente" diventa "Vedente", che l'assolutamente moderno di Rimbaud raffredda la vertigine nell'impegno e ritorna in vigore, è allora che l'artista si sente potente per la capacità di comprendere ed analizzare, e tuttavia inadeguato per l'incapacità di definire — come pioniere — uno Zeitgeist che avrebbe potuto riservare uno spazio egemone alla dimensione visiva.
IV. Lo spazio-luce della materia.
Con le "personali" allo "Studio E 22" di Agostino Bonalumi (nel 1974, nel 1979, nel 1996 e nel 2000), di Jorrit Tornquist (nel 1974, nel 1986, nel 1995, nel 1999, nel 2001 e nel 2007), di Jorge Eielson (nel 1992 e nel 2005) e con la presenza di Enrico Castellani nelle rassegne Nuova oggettualità del 1971 e Proposta per una collezione nel 1973, l'opera cresce e si sviluppa come un continuum in cui il prima e il dopo coesistono, collaborando con un identico grado di necessità alla costituzione di un'identità poetica eternamente rinnovata. Puntualizza Germano Celant: "E arte si apre al silenzio più reale e più significante di ogni discorso per dimostrare che l'Informale o l'Action Painting sono arrivati a un vicolo cieco, quello della ricerca di significato dell'essere stesso, nel tentativo di oltrepassare la barriera del linguaggio. Operazione impossibile perché la base del reale è razionale e logica e va ricondotta, come afferma Ludwig Wittgenstein, alla logica linguistica. Non rimane allora che riportare l'arte nel suo dominio, che sono lo zero e il vuoto"19 .
E inclinazione di questa "pittura oggettuale"zO è basata sull'entità della luce, che rischiara i rilievi, crea ombre e riflessi, appiattisce ed esalta le superfici, dà esistenza al dipinto attraverso un colore assoluto che irradia, scivola e unifica gli spessori e al tempo stesso funziona da registro di piena libertà. Il quadro in quanto tale entra in forte crisi e tende a diventare oggetto, forma concreta, la cui unicità oscilla tra l'archetipo e il prototipo, trattenendo in ogni caso la ricerca entro i confini di un'esperienza percettiva, di un'avventura della conoscenza al di là della pittura. Già nel mezzo degli anni Cinquanta, sull'onda dell'insofferenza per l'Art autre, compare Yves Klein. Per lui l'opera altro non è che la traccia fisica, le "ceneri" dell'arte; il centro della Forschung, dell'esplorazione si sposta altrove, naviga a tutta velocità nell'invisibile, individua ed agisce con nuove materie che si chiamano aria, terra, fuoco e acqua, la cui immaginazione è stata svelata da Gaston Bachelard ne La péetique de l'espace21.
È Klein a inventare il "monocromo" e a Milano alla Galleria Apollinaire nel 1957, nello stesso anno in cui Bachelard pubblica a Parigi il suo libro, espone la versione blu. Fontana è con lui, ne comprende e condivide l'ordinamento della ricerca. La rottura è radicale: da anni, il Maestro dello Spazialismo ha reso evidente lo spazio del vuoto cosmico, infinito; ne ha rappresentato l'esistenza sottoforma di luce e di concetto, perforando con tagli o con buchi la tela. Lo spazio, più per questa via, si identifica con la luce, ottenendo l'indipendenza dalla materia e facendosi architettura, luogo attraversabile, air ambiant22. Per Klein e per Fontana le forme sono, allora, ideai, non come il Wassein heideggeriano, il contenuto essenziale che sta oltre ciò che si presenta, ma come l'atto stesso del presentarsi dell'essere. Senonché, sottolinea il filosofo tedesco, l'inquietudine del Niente s'è trasferita tutta nella certezza dell'invisibile che precipita in luce, e "l'idea non fa apparire (erscheinen) qualcos'altro dietro di lei, ma è essa stessa ciò che risplende, importandole unicamente del proprio risplendere"23.
Le vicende di Bonalumi, di Castellani, di Tornquist e di Eielson s'intrecciano, comunque, con quelle dell'arte programmata e cinetica di Le Parc e di Garcia Rossi, di Hugo Demarco e di Joel Stein, di Getulio Alviani e di Franco Costalonga. Anche se l'impostazione estetica, il tipo di ricerca sono diverse nei lavori di Veronesi, Dorazio e Perilli, pur tuttavia comune è l'intento di esplorare il dinamismo della superficie, sia esso di tipo segnico o policromo. Veronesi arriva all'icona-spazio selezionando, squadrando, cristallizzando la materia; Dorazio parte dalla spazialità elementare della delineazione sul piano e sperimenta una ritmica di mutazioni d'estensione puntinistiche o di campi del colore; Perilli cerca lo spazio, la struttura interna della Machinerie isolandola da ogni altra ideazione spaziale. A voler definire l'obbiettivo comune di questo astrattismo sui generis che per certi versi coinvolge persino Munari, potrebbe parlarsi di geometria irrazionale, di simboli euclidei identificati con i simboli essenziali dell'esistenza, di un mutare dei simboli spaziali nel tempo della vicenda esistenziale; invertendo il percorso di un ritorno del linguaggio simbolico al linguaggio storico, dai segni alle parole, come accade a Ben Vautier.
Non posso qui, evidentemente, ripercorrere il gremito regesto degli avvenimenti artistici resi possibili dallo "Studio F. 22; basterà ancora ricordare che le mostre di Sutherland nel 1978 e di Miro nel 1983 sono un po' la bussola d'orientamento di Franco Rossi negli anni a venire: di Ariel Soulé nel 1984, nel 1996, nel 2003 e nel 2008; di Sergio Dangelo nel 1988 e nel 2007. L'arte deve osare di più, molto di più: l'ego dell'artista esorbita dalla scena visiva oscillando, dopo il Sessantotto, tra Hybris e Krisis, tra la superbia demiurgica e la coscienza critica. La pop di Warhol e dell'opera come gioco di Ugo Nespolo scoprono i nuovi miti ancora sul filo estremo della tradizione pittorica ed illustrativa (è ciò che accade anche nei lavori di Fujio Nishida e di Simon Toparovsky), mentre l'iperrealismo di Sergio Sarri e di Gary Mirabelle si misura subito con la versione feticistica. Il fenomeno delle vie italiane della pop art si manifesta in molteplici modi, annoverando artisti che tornano ad una forma rinnovata di figurazione: Valerio Adami ed Emilio Tadini danno una versione alta e singolare del "canone" riproduttivo laddove il primato dell'intelletto prevale sulla provocazione fumettistica dell'immagine.
La storia dello "Studio F.22" attraversa, dunque, nei suoi momenti cruciali le nuove avanguardie, dagli anni Settanta ad oggi: nel suo percorso (per tanti aspetti parallelo al mio stesso di critico e storico dell'arte) non leggo contraddizioni, ma la capacità di seguire e incrementare una vicenda continuamente in fieri del linguaggio, e di proporre sempre in positivo, senza miopi chiusure. Bruno Munari è stato una prova vivente della possibilità di riunire insieme sollecitazioni contraddittorie e apparentemente inconciliabili: da una parte una fortissima esigenza di forma e un procedimento di costruzione dell'opera sorretto da una sicura internazionalità progettuale; dall'altra, un'energia incontenibile che spingeva da tutte le parti e induceva l'autore delle Macchine inutili a infrangere i confini dell'opera aperta"~4, ad invadere lo spazio circostante, ad agire in prima persona in un'esperienza dell'arte come "scritture illeggibili di popoli sconosciuti"25. Se dovessimo trovare una definizione al lavoro di Franco Rossi e di sua figlia Laura Virginia, si potrebbe forse dire ch'esso si è sviluppato da una linea di pensiero assai singolare: la linea stessa che guida — ci pare — le pagine del famoso Musée imaginaire di André Malraux.
Floriano De Santi
Da quando ho incontrato Franco Rossi, ho avuto la sensazione di trovare un alleato nel difficile percorso che porta alla completa realizzazione di un artista. Perché un alleato? Perché Rossi é, in Italia, uno di quei rarissimi galleristi che non badano ad altro che alla qualità intrinseca dell'opera, sia essa fatta da un suo simile, da un marziano o da una formica, come lo dimostra chiaramente presenza di diversi artisti internazionali nella sua galleria. I veri valori umanistici dell'arte sono, per questo lucido gentiluomo di provincia, non valori aggiunti, ma sostanziali, non valori relativi, ma assoluti, come lo sono sempre stati nei grandi momenti dell'arte di tutti i tempi. Credo proprio che questa concezione così trasparente della creatività artistica sia un patrimonio che ormai sopravvive solo nella provincia italiana -così ricca di tradizioni- che, per l'appunto, ribalta a suo favore questo nobile privilegio, così bistrattato nelle grandi città, dove spesso prevalgono i condizionamenti sociali, politici, economici ed altri. Dobbiamo essere grati, quindi a Franco Rossi - il cui bellissimo spazio, tra l'altro, sarebbe degno di qualsiasi città europea - per questa sua generosa passione che, unita al rigore delle sue scelte, hanno fatto dello Studio F.22 di Palazzolo sull'Oglio, un centro d'irradiazione non solo in Lombardia, ma anche nel resto dell'Italia artistica.
Jorge Eielson
Mi aveva cercato al telefono. Con forte accento bresciano, inclinato anche da timidezza a espressione di semplicità gentile, m i chiedeva di qualche particolare informazione che avessi a dargli circa il restauro di cui necessitava una mia opera di qualche anno prima, da lui appena acquistata, premurandosi egli che l'opera del restauratore fosse come aveva da essere, in massimo grado corretta. In tutta sincerità devo dire che non fu solo per rispondere più a proposito ad una tale richiesta che domandai di vedere l'opera, che peraltro il mio interlocutore descriveva con sufficiente efficacia; ero incuriosito, essendo allora per niente solito imbattersi, in provincia, e per giunta in un piccolo paese come Palazzolo sull'Oglio, in una galleria d'arte. E ancor più sorprendente era che il giovane gallerista si occupasse di certe opere, tale che al mio paese, il quale volentieri mena vanto di esser Città, l'avrebbero detto da legare. E mi impressionò favorevolmente constatare che l'opera era così poco danneggiata che quasi nemmeno si poteva dire di esserlo: segno, il darsi pena di porre rimedio e sì minimissima offesa, di premura e di sincera passione per l'arte. E di primo seguito, con le prime occasioni di collaborazione ebbi conferma della passione, della sensibilità e della felice intuizione di Franco Rossi, avendo anche agio di conoscerlo persona precisa, ordinata, capace di volere che le cose siano come hanno da essere. Del resto, può forse essere diversamente quando si ama l'arte? Se i suoi primi, giovanili e anzi precocissimi interessi furono per una pittura di rappresentazione, certamente influenzato, e positivamente tanto che, salvo le inevitabili cadute ad ogni inizio, egli seppe tenersi ad un buon livello qualitativo, dall'amico e ottimo pittore palazzolese Matteo Pedrali, era all'epoca del nostro incontro in un momento di ripensamento, attraversava una crisi d'identità. Ma forse già profilava l'approdo, che sarebbe stata la svolta, l'interesse per le ricerche dell'arte astratta, specialmente nelle esperienze più consapevoli. Lunga pezza è ora il tempo trascorso da allora; della tradizione al collezionismo della provincia tra Bergamo e Brescia, Franco Rossi ha saputo intelligentemente trarre la forza per resistere tra gli alti e bassi del mercato dell'arte, per la stima che è andato meritando, proponendo cose d'interesse non di un giorno. E la nostra collaborazione è stata intensa e non avara di soddisfazioni, nutrita di forte amicizia, la quale non può essere che nella reciproca stima.
Agostino Bonalumi
C'est pour moi un grand plaisir de pouvoir m'associer au 30 anniversaire de la Galerie d'Art Studio F.22 de Palazzolo s/O. Fai référence ici à sa trajectoire, à travers les options esthétiques qu'elle a faites et qui sont détaillées dans ses programmes d'expositions, serait une redondance. L'action de la Galerie Stusio F.22 est un exemple exceptionnel de ce qui se passe en Italie en matière diffusion des arts plastiques. Palazzolo ce n'est pas Milan, ni Rome ni Venise. Cependant là-bas, grace à l'enthousiasme et à la volonté d'un personnage local, est née et s'est développée une activité dirigée vers l'art contemporain. La Galerie Studio F.22 ne se contente pas de montrer des oeuvres aux habitants de cette région, mais elle crée une communication vivante entre l'art actuel et eux. Réveillant ainsi une réceptivité active qui permet qu'un dialogue permanent s'instaure entre l'art d'aujourd'hui et une popula tion en évolution. Franco Rossi, avec l'enthousiasme contagieux et entreprenant de la jeunesse, peut être fier de célébrer les 30 anné es de sa galerie. Fierté que je partage comme artiste. En ayant exposé ici, j'ai eu l'occasion de connaître cet espace parfaitement adp té et son organisation professionnelle. Et surtout, à un niveau personnel, j'ai pu en toute simplicité, entamer une amitié avec Fran co et son agréable Renata. Cette amitié dépasse de simples rapports professionnels, grâce à une authenticité humaine qui les rassemble e produit une qualité de vie partculière.
Julio Le Parc
Depuis quarante années «Les couleurs de la mémoire» rayonnent bien au-delà du Studio F.22. (J'aurais du demander à Franco Rossi pourquoi 22). Ces couleurs sont le témoignage d'un combat mené sans faiblesse pour imposer une certaine idée de fart contemporain. Elles sont un moment rare offert à tous ceux qui ont eu le privilege de les partager. La simplicité d'accueil de Franco Rossi masque l'exigence et la complexité d'une démarche sans concession à la mode, un amour de la peinture dans ce qu'elle contient de secret et contradictoire lié d'une compréhension amusée pour les impasses que parfois elle provoque. Tout cela est accompli sans emphase, sans besoin de donner des lecons, avec vis - à - vis des artistes un contact qui reflète cette qualité si rare: la politesse du coeur. Cette rétrospective rend compte tout à la fois de son ouverture d'esprit et de son exigence. Aux portes de Milan Palazzolo, grace à Franco Rossi est un lieu qui compte.
Je voudrais ajouter une note personnelle: basées sur des themes anciens, glissement de formes, cercles virtuels, diagrammes chromatiques, les toiles présentées ici retrouvent une nouvelle jeunesse. Je crois, mon cher Franco, que je deviens grace à toi un jeune peintre.
C'est à mon age, un cadeau sans prix.
Joel Stein
I rossi sono tanti in natura: le rose che lui ama regalare a sua moglie Renata, i gerani, le fucsie, i papaveri — tutti belli, come Renata dai capelli rossi. È anche il colore del sangue, la cresta del gallo. Ci sono tantissimi pigmenti rossi per fare pittura rossa, a vari prezzi, e diversa durata alla luce. Lacca di garanza, rosso indiano, terra di Pozzuoli, rosso tiziano, rosso sandalo, arancio indantrene, lacca geranio, vermiglione, sangue di drago, arancio d'Avignone, lacca arancio, lacca rosa, rosso permanente, rosso di Venezia, scarlatto, minio, kermes, rosso di robbia, oricello, rosso di cadmio — che costa molto, ma è anche molto stabile alla luce. I signori Rossi sono tanti, ma di Franco Rossi in quanto Gallerista d'Arte ce n'è uno solo, non parliamo di prezzi, ma di durata nel tempo. Franco Rossi resiste ad intemperie e non solo — non resiste però a cene dionisiache che farebbero impallidire gli antichi romani, ed alle geometrie dell'universo, come Pitagora, e all'arte. Ha tramato la sua ragnatela "Studio F.22 modern art gallery" in centro a Palazzolo, tra banche che lo circondano e che vi s'intrappolano come mosche; è difficile dire se senza Franco Rossi, figlio di Tùxn, a Palazzolo ci sarebbero così tante banche, o se senza le banche forse mancherebbe anche Franco Rossi. Non si sa se è nato prima l'uovo o la gallina, ma in quel luogo si è creata una situazione dorata. Palazzolo è sulla giusta sponda del fiume Oglio, esso è largo abbastanza per non saltare da una sponda all'altra, perciò F.22 se ne sta non nel Bergamasco dei tirchioni, ma sulla sponda bresciana degli spendaccioni; nonostante questa fortunata coincidenza, Franco Rossi è un tipo eclettico, sceglie con accuratezza le opere senza sottostare a mode commerciali. Ed ora con fanfare e tamburi: penso qui alla fioritura di un'arte dalle strutture primarie, un'arte orientata al superamento dei confini tradizionali; un'arte esigente, che rivendica l'assoluto dell'universo. Quest'arte, quando Franco Rossi iniziò è stata una sfida, non soltanto verso il pubblico, ma anche verso istituzioni e collezionisti, con le loro modalità di pensiero. E non mi riferisco qui solo al problema delle opere, era in gioco molto di più, capire in che relazione si ponesse questo tipo di arte con il sociale, in un periodo in cui essa costava relativamente poco; oggi quegli autori sono considerati maestri, con assoluto incremento di valore. Chi si è affidato allora al fiuto e alla capacità di Franco è oggi sicuramente ricompensato, infatti gli spazi in cui originariamente quest'arte è stata esposta, osservata e discussa appartengono anch'essi per sempre alla storia di questo movimento artistico epocale, come F.22 a Palazzolo sull'Oglio. Al gesto elementare della ricerca dell'essenza pura, del superamento e della riduzione, propri dell'arte di quegli anni, appartiene anche il fatto che tale arte ricercava luoghi specifici per una sua collocazione, con forte consapevolezza e precisione. Franco Rossi ha sempre messo al centro la solennità spirituale dell'opera. Non dobbiamo sottovalutare l'influsso che queste esperienze fondamentali nella presentazione e nella fruizione dell'arte, così come l'interazione fra l'arte e la riflessione elementare sulla vita, hanno esercitato sulla nuova comunicazione visiva, che ovunque si è andata poi sviluppando negli anni Ottanta. E se le applicazioni che ne sono nate sono risultate in certi casi infelici, questo è dovuto proprio al fatto che di questi insegnamenti non si è fatto abbastanza tesoro. Qui si dimostra una grande acutezza di pensiero in questioni relative alla rilevanza e alla qualità ad un alto livello.
... Ma a Franco piacciono anche i verdi e soprattutto il countrygreen delle automobili inglesi.
Jorrit Tornquist
Conobbi Franco Rossi in una mia personale, nei primi anni settanta, alla galleria Sincron di Brescia; il titolare mi presentò Franco Rossi come gallerista valido e capace. In seguito presi contatti e ci accordammo per una mostra personale nella sua galleria Studio F.22 di Palazzolo sull'Oglio. Particolare curioso fu che Armando Nizzi, gelosissimo dei suoi artisti, si contrariò moltissimo perché mi ero permesso di esporre le mie opere a Palazzolo sull'Oglio, zona considerata di sua competenza esclusiva, dimenticando di essere stato proprio lui a presentarmi con lusinghieri apprezzamenti. I rapporti con Franco Rossi si consolidarono e quindi con una cadenza quasi costante, realizzai diverse mostre personali nel corso degli anni nella sua galleria. Una interruzione dal 1984 al 1990 per motivi di salute, mi tenne lontano da ogni attività espositiva. Sono grato a Franco Rossi a cui devo buona parte della ripresa della mia attività artistica. Infatti, in occasione della Biennale del 1990, venne a trovarmi nella mia abitazione studio di Villabona Venezia. Constatato che avevo delle opere già realizzate, mi propose di ricominciare con le mie personali nella sua galleria. Devo ricordare con rinnovata riconoscenza, che tale fatto fu determinante per un incoraggiamento alla ripresa della mia attività artistico creativa. Fu così che in quel periodo progettai oltre ai "Riflex" e i "Pseudo rilievi", anche gli elementi mobili che realizzai utilizzando degli specchietti rotondi prodotti in Germania, che mi procurò Franco Rossi. Dopo alcuni tentativi, realizzai delle composizioni appendendo gli specchietti con dei fili di nylon invisibili all'interno di strutture geometriche colorate, i quali muovendosi casualmente per effetto dell'aria, riflettono il colore dei lati della struttura.
Fortunatamente Franco Rossi si presenta non solo come il classico gallerista, che si interpone tra l'artista e il collezionista, ma soprattutto dimostrando fiducia e amicizia con l'artista, coinvolgendolo anche negli aspetti familiari e aprendo spesso la sua casa ad una amicale ospitalità.
Gli va riconosciuto inoltre una indubbia originalità di scopritore di talenti, pur restando sempre in un ambito stilisticamente coerente. Alcuni artisti proposti negli anni settanta si sono rivelati i "maestri" di oggi. Sicuramente la sua esperienza di conoscitore d'arte e di collezionista porta prestigio alla città di Palazzolo sull'Oglio che gli deve essere riconoscente per aver contribuito ad allargare la conoscenza di quegli aspetti culturali-artistici che ogni città dovrebbe avere e curare con la stessa passione di Franco Rossi.
Per ultimo resterebbe di parlare del "piede nella fossa" che Franco rammenta sempre al momento di fare i conti, ma di cui proprio per scaramanzia riparleremo nel libro dei cinquant'anni di attività.
Franco Costalonga
Nessuno si aspetterebbe, arrivando nel centro di Palazzolo di trovare una galleria d'arte così raffinata come lo Studio F.22. E, d'altra parte, è impossibile immaginare Palazzolo sull'Oglio senza pensare a Franco Rossi -che della galleria è il proprietario e il grande animatore. L'ho conosciuto circa trent'anni fa. Era venuto a cercarmi, perché in quel periodo credo fosse stato colto da una crisi d'identità. Fin ad allora, un normale mercante d'arte che vendeva ad un pubblico medio ciò che quel pubblico gli richiedeva, perciò arte figurativa di facile comprensione. È qui che un aspetto della sua indole si rivela: Franco Rossi si annoia con la routine, ed entra in crisi. Ciò che fino ad allora era stata la sua "merce" non gli interessa più. La sua attenzione si rivolge verso artisti più problematici, meno amati dal pubblico facile, ma più stimolanti e innovativi. L'arte astratta e concreta sono al centro dei suoi interessi - e ci si butta come verso un nuovo amore, con tutti i desideri di questo innamoramento, e anche con la fede di chi ha appena scoperto un nuovo orizzonte. È in quel momento che ci siamo conosciuti. Lui veniva in studio con sua figlia Laura Virginia (allora era piccola) e le diceva "Vedi, questo è Carmi, ti piace?", e lei guardava i quadri affascinata forse più dal padre che dalle opere - che però dovevano essere belle se piacevano a papà. Non gli bastava essere solo nel rapporto con l'autore: voleva trasmettere anche alla bambina il suo modo di guardare e intuire l'immagine, mostrarle i "suoi" artisti. Ora la bambina è cresciuta e credo di questo gli sia grata. Ma anche il pubblico lui vuole complice. Ai suoi amici e clienti ha messo e mette in casa ciò che ama. Straordinariamente è riuscito a trasmettere al suo pubblico la sua stessa crisi, che è una crisi di identificazione proiettiva. È così che i nostri quadri privi di riferimenti esterni noti, hanno sloggiato dalle case dei suoi amici buona parte delle opere che prima le riempivano. Questo è il compito del vero mercante, frequentare i protagonisti del tempo presente e riuscire con la costanza del credente ad inserirli nella coscienza del suo pubblico, a farli diventare oggetto di desiderio. Credo di poter dire che, circondati come siamo dalle cattive coscienze, Franco Rossi rappresenta un esempio importante di buona coscienza. Non tanto per la sua onestà, ma solo perché ciò che offre agli altri, in fondo vorrebbe possederlo lui.
Eugenio Carmi
"Linee cerchi quadrati & triangoli" sono gli amori di Franco Rossi che in una piana piena di nebbia sull'asse Brescia/Bergamo diffonde l'ottimistico messaggio dell'Arte Astratta. É inesorabile, non ha ombra di dubbio: dall'alto di quel battello che è lo Studio F.22 in quel di Palazzolo sull'Oglio. dal 1968, e sono ormai 30 anni, va convincendo collezionisti e appassionati d'arte della validità della sua scelta. Ogni anno propone un artista figurativo, eccezione che conferma la regola sua costante nell'esporre in continuità pittori non figurativi. Certo chi lo ha seguito e come pittore e come collezionista ha visto un progresso continuo di qualità di valori confermati, indizio sicuro di una conoscenza sul terreno della creatività e non solo italiana, ma ben più generale della situazione internazionale. La sua carica di amore per la pittura si trasmette immediata e dirompente su chi ha la fortuna o la sfortuna di averlo di fronte e raramente può sfuggire. In quell'immaginario bestiario ove noi uomini troviamo un modo di rappresentarci, l'animale che più corrisponde a Fr Rossi è indubbiamente un rinoceronte, ma non quando pascola: quando carica un avversario che ha di fronte. Per fermarlo bisogna colpirlo sulla fronte tra gli occhi, ma non con un fucile, bensì con un quadro, astratto naturalmente...Allora tutta la sua vitalità e la carica dirompente che è in lui si placa nella contemplazione e nella calma osservazione dell'oggetto, il suo giudizio trova conferma per le scelte culturali che ha fatto. Nella mia vita di pittore, le mie mostre personali nella sua Galleria, scandiscono il tempo: ad iniziare dal 1980 ogni due anni, 1982/1984/1986 il 1988 era previsto, ma la mia retrospettiva alla "Galleria Nazionale d'Arte Moderna" di Roma mi ha spostato nel 1989, e così alla personale del '94 e fino all'ultima del 1998 a confermare quella che per me è ormai una piacevole abitudine: esporre allo Studio F.22 a Palazzolo sull'Oglio.
Achille Perilli
Le piccole imprese si danno in assoluto come le forze più vive del nostro paese. Tanto che si potrebbe parlare di un vero e proprio "genio" italiano nell'operatore piccolo. (Il che non vuol certo dire operatore in tono minore. Le piccole e medie imprese producono in Italia più ricchezza di tutte le massime imprese messe insieme). Quella di Franco Rossi è in fondo una piccola impresa. Una pi impresa culturale. E sono le gallerie come la sua che in Italia hanno reso possibile la struttura diffusa di una cultura artistica, e di un mercato, del tutto sconosciuta all'estero. Se si considera il numero e la qualità degli artisti e delle opere che in tanti anni sono passati nella galleria Studio F.22 di Franco Rossi, ci si rende conto che anche lui - come chiunque conduca una piccola impresa -ha dovuto e saputo darsi a una invenzione continua. È per questo che da tutte le sue mostre messe insieme esce la figura di un disegno, di progetto. Un equilibrio di tendenze, di movimenti - di personalità - a cui poteva arrivare soltanto un mercante d'arte dotato di libera intelligenza e di forte passione. Se la galleria di Franco Rossi avesse semplicemente seguito la moda, sarebbe finita da tempo Come tante mode sono finite. Probabilmente Franco Rossi ha dovuto faticare, e a lungo, per imporsi nel suo ambiente. Ma, alla fine, quell'ambiente, il suo lavoro ha prodotto un cambiamento profondo. Io credo che molti - nella sua città, e non soltanto - debba proprio a Franco Rossi un arricchimento reale non solo della propria cultura ma anche della propria capacità di sentire, di emozionarsi. Ed è anche merito di Franco rossi - e dell'ambiente che lui ha contribuito così efficacemente a creare - se, ad ogni inaugurazione, l'artista che espone sente intorno a sé tanto calore, tanto interesse,tanta voglia di porre domande. ( Vengono in mente certe inaugurazioni in grandi città - quando tutto sembra risolversi in una specie di rito mondano, e a volte sembra che a nessuno venga in mente di dare un'occhiata alle opere esposte). Possiamo davvero dirlo. La galleria di Franco Rossi, così come ha preso forma e sostanza in tante mostre, è un'opera. Una vera e propria opera.
Emilio Tadini
Cuando comencé a colaborar en el 1982 con la galeria F.22 de Franco Rossi yo era el artista mas joven de la escuderia. Nunca hubiera imaginado de poder trabajar junto a artistas como Le Parc, Eielson, Munari, Perilli, Stein, solo para nombrar algunos. Fue una experiencia importante. Su galeria se habia convertido, en poco tiempo, en el faro necesario para quien no consideraba solamente las grandes ciudades como meta imprescindible de coleccionistas y amantes del arte en general.
Pero corno un verdadero "Cid Campeador" lombardo, no contento de su fabuloso "castillo" F.22, parte hacia nuevos territorios. Y asì nacen exelentes exposiciones como "Geometrie dell'Universo" en el Convento dell'Annunciata a Rovato, "Big and Great" en el Palazzo Martinengo a Brescia, Palazzo pretorio a Sondrio.
En las ultimas exposiciones se siente la presencia de Laura Virginia, la cual despues de haber seguido su padre desde el inicìo, adquiriò la suficiente experiencia como para guiar con mano firme una galeria de tal importancia. No me queda que agradecer a Franco por su trabajo, su amistad y la no comun disponibilidad a transformar la realidad... en magia. No es poco.
Ariel Soulé
Scrive Abert Boime nel fondamentale quanto opportuno saggio Artisti e imprenditori (Torino,199o) "Linsieme dei personaggi che costituiscono la comunità artistica e la sua interazione con le forze politiche e sociali formano quello che definisco il sistema della committenza, e la committenza e il collezionismo sono entrambi espressioni della partecipazione a una realtà economico-sociale... quando si stabilisce un patto sociale per cui ogni decisione e ogni azione viene concertata collettivamente, gli individui si trasformano in una comunità organizzata: nuova unità che costituisce il canale culturale attraverso cui si rende manifesta l'egemonia ideologica dell'élite dominante". Questa affermazione di carattere generale ha avuto, a partire dalla seconda metà dell'Ottocento una evoluzione straordinaria. Prima di quell'epoca, la committenza era rappresentata esclusivamente dal potere aristocratico o religioso, ed il fine era quello di utilizzare gli artisti per la celebrazione (comunicazione e affermazione) del proprio status. La nuova stagione dell'arte moderna, è, a partire, diciamo, da Courbet interpretata dall'artista nella sua affermazione individuale. Egli disturba, come sempre, i poteri costituiti, viene escluso, rifiutato, emarginato, paga il prezzo per la libertà di pensare/creare/sollecitare, propone opere che suscitano scandalo, perché danno scacco all'ipocrisia del pensiero corrente; affermano in ultima analisi ciò che noi oggi assumiamo, nel bene e nel male come contemporaneità. Pensiamo a quanta gioia (o no) di vivere può rappresentare per il nostro sguardo di oggi, per la nostra visione del mondo, un'opera come Olympia di Eduard Manet.Ma ciò non sarebbe stato possibile se non si fosse creata quella "comunità organizzata" di cui diceva Boime, e cioè della sinergia che si è venuta creando tra artisti, galleristi, editori, critici e collezionisti; tra luoghi, manifestazioni, latitudini. Se diciamo Durand, Ruel, Vollard, Kahnweiler subito il caleidoscopio si anima con Monet Cezanne, Picasso e da quell'esperienza ne deriva tutto ciò che di "bello" ci è più vicino. Lo Studio F22 compie quarant'anni. Io penso che la sua attività, l'impresa di Franco Rossi, centri in pieno e meriti un sigillo per l'interpretazione che ha dato dell'evolversi di quel peculiare mondo che è la creazione artistica, la sua organizzazione, la proposta di opere originali che interpretano il tempo, che arricchiscono di bellezza e valore le nostre case, che fanno incontrare artisti e pubblico in uno spazio aperto, adatto, elegante. Il respiro internazionale che lì si respira è frutto della sedimentazione dei programmi e delle stagioni espositive. Mi sono avvicinato alla galleria una decina di anni fa. Da allora ho avuto consuetudine con gli artisti che si sono avvicendati nelle diverse esposizioni.E' stato come trovare riconoscimento e sollecitazione, sentirmi parte della comunità organizzata. Certo Rossi è intransigente rispetto ad una "certa liturgia della vernice": le opere debbono essere disposte e illuminate alla perfezione (se lo spazio espositivo si adegua per ogni evento, è sconsigliabile essere presenti con il gallerista e l'artista durante l'allestimento). Il Maestro (è un termine desueto ?) deve essere presente all'inaugurazione, possibilmente insieme al maggior numero degli artisti che lo Studio F22 ha ospitato; sono invitate le autorità, che, richiamate da un evento culturale, si spera trasferiscano a coloro che rappresentano la ricchezza indotta al territorio; è invitato il pubblico di appassionati e curiosi, che si è modificato negli anni, i collezionisti che con occhio ormai educato sanno cogliere la qualità della proposta, e da buon ultimo il "critico" che ha il compito di spezzare il ghiaccio cercando di creare un contatto proficuo tra ciò che siamo e ciò che vediamo. Tutti agli ordini di un'attenta regia. Tutto deve funzionare come un ingranaggio ben oliato; e se può sembrare un rituale, non è questo involucro che ci dà conforto, ci fa sentire parte che conta di quel sistema complesso che è oggi il sistema dell'Arte. Rossi è lì da quarant'anni, gutta cavat lapidem , in una ricca cittadina di una ricca provincia forse un po' troppo distratta (se si pensa alla collettiva del '73 dal titolo "Proposta per una collezione" vibrano davvero i polsi) per non accorgersi del passaggio di artisti che oggi sono irraggiungibili per l'importanza delle loro opere e per i valori che hanno conseguito. Del resto non è di un mercante, ma di un artista tra i più affermati e quotati di oggi, Jeff Koons, l'affermazione per cui "L'arte non consiste nel fare un quadro, ma nel venderlo".
Romualdo Inverardi
Dal 1968 lo Studio F.22 organizza e propone mostre di artisti contemporanei, nella sede della galleria, nella piazza centrale di Palazzolo sull'Oglio. Il tempo non ha scalfito quel punto d'attrazione per la cittadina industriosa posta esattamente a metà, ed egualmente attratta tra due capoluoghi di provincia in corsa in questi anni di globalizzazione, per affrancarsi da quel giudizio non positivo che il provincialismo porta con sé. Ha resistito ai mutamenti urbanistici e agli avvicendamenti politici, secolari e naturali (il fiume carico di energia che gli scorre accanto, a volte minaccioso). Sorprende come un luogo dell'arte, in un centro di provincia possa, spiazzando, offrire pensiero sul mondo ed estetica universale. Fin dall'inizio, lo Studio ha proposto al suo pubblico uno spazio assimilabile alla poetica del parallelepipedo bianco; poetica che ha indirizzato il pubblico stesso verso una sensibilità di carattere internazionale. L'ideatore dello Studio F.22 Franco Rossi, ha costruito un luogo che si dichiari nelle intenzioni espositive, sia nella parte che accoglie le mostre temporanee, sia nella parte che raccoglie le opere in maniera permanente. In questo modo è quindi riproposta, in chiave attualizzata, la "Quadreria", la galleria del palazzo settecentesco, vero cuore della casa, vanto dei proprietari, orgoglio di coloro che vennero chiamati li amateurs delle cose d'arte e che si trasformarono, con il mutamento dei tempi, dei gusti, dei rapporti economici, nei collezionisti e nei mercanti d'arte dell'epoca moderna. Nell'austero scrigno viene rinnovato, ad ogni stagione espositiva, lo sguardo sul mondo dell'arte contemporanea, con coerente e lucido disegno, arricchito da alcuni anni, dal lavoro di Laura Virginia Rossi. Crescendo e affiancando il padre nel lavoro di preparazione dei vari eventi, ha potuto trasformare quello che per lei era un gioco (la si vede ritratta in una foto dell'archivio della galleria con Bruno Munari, sommo interprete del gioco) in una attività autonoma e distintiva. Nasce con questa intenzione la cura delle Edizioni Rainbow. Progetto agile, rivolto ad un pubblico giovane, che propone una serie di grafiche, acqueforti, acquetinte, litografie, serigrafie, di tiratura limitata, di dimensioni importanti, realizzate in esclusiva da importanti maestri contemporanei: Bonalumi, Carmi, Costalonga, Eielson, Le Parc, Perilli, Soulé, Tornquist, Veronesi, Keizo, Boix e Sarri. Con spirito di collaborazione e sinergia promuove le edizioni Art News. Laura Virginia è promotrice e curatrice della mostra "Mosaico", appuntamento natalizio della galleria, che propone pezzi unici di dimensioni rigorosamente fissate (20 x 20 cm), e che hanno assunto affettuosamente il nome di "ventiperventi". Nella loro dimensione apparentemente minore, svolgono un ruolo duplice: di avere una quotazione accessibile e di rappresentare un modo intelligente di costruire una vera collezione.
Con queste premesse, la curiosità e la necessità di esplorare vie nuove rispetto all'esperienza paterna diventano una scelta obbligatoria. La mostra dei gioielli-scultura di Rossella CicognettiTornquist, gli incontri con giovani artisti si sono rivelati di immediato apprezzamento: da Valerio Maimeri a Fujio Nishida andati letteralmente a ruba. Recentemente Makoto ha occupato tutto lo spazio espositivo con le sue installazioni multimediali. Anche la mostra di Bruno Gorgone sembra orientataverso trame tangenti il design. Proposte di diverso impatto e volte a toccare comunicazioni multidisciplinari, che presuppongono approcci teorici e critici differenti. Non c'è scampo, le arti visive si muovono con una velocità esponenziale, i sistemi di produzione e riproduzione dell'immagine sono sempre più avanzati e raffinati; valori e disvalori anche nel mondo dell'arte si susseguono frenetici. La crisi dei mercati finanziari riporta l'opera d'arte ad essere un bene di investimento. Sta, come sempre dagli Impressionisti in qua, nelle scelte di ogni nuova generazione di galleristi interpretare ed offrire al pubblico gli artisti che racconteranno la Storia dell'Arte.
Romualdo Inverardi
Neppure il Sessantotto potrebbe offrire la traccia del movente. Trent'anni fa, quando Franco Rossi apre la sua avventura verso l'arte e le sue avanguardie, il Sessantotto non spende nulla da questa parti, semmai c'è un eco labile. Franco Rossi, d'altro canto, non è personaggio trascinabile da Sessantotto o da Quarantotto: è un solista, gioca in proprio, paga tutta la sfida di tasca sua. La ricerca del suo inizio, dunque, si muove per linee interne, per sfumature, simboli, allusioni. Deve avere un codice cromatico e geometrico, Rossi, una naturale predisposizione ad esporre alla vittoria, quanto d i più eccentrico gli compare sullo schermo di una frenetica attività, come se temesse una bocciatura da parte del collegio giudicante della vita, qualora non dovesse agire e muoversi nella direzione del proibitivo. È subito naturalmente anticorrente, il nostro amico, in un ambiente che indirizzerebbe, al contrario, ad operose e regolari dirigenze, a negozi anziché ad ozi. Poiché, qui ed altrove, la cultura in generale è stata e viene considerata un optional, nel migliore dei casi, e la pittura, ancella non meglio profilata, viene considerata una originalità, al limite, una misteriosa contaminazione. Franco Rossi si contamina e contamina secondo lo stile dell'immediatezza e della vigorosità. Ci sta da solo. Scova le botteghe rare e chissà dove dislocate degli artisti nazionali ed internazionali, non disdegna a seguirne di nuovi e clandestini, si avvicina al colore in movimento e perciò si pone dalla parte del pittore che lavora con la mano sulla tela. Risponde personalmente dell'artista, gli sta sopra o parallelo al cervello, fa un tratto di strada insieme. Compera o vende per il guadagno del tempo e della stima, per esorcizzar e la miseria sostanziale della vita. La consola e la illimpidisce con i quadri enormi di artisti venuti da lontano, da ogni parte del mondo. Li conquista, convincendo li che lì, dalle parti di quella forma, si nasconde il talismano dell'immortalità. Che conta è escludere l'inesorabile e l'arte è un'alleata strategica nel distrarre le spire del tempo maligno mentre accende il tempo buono. Ora, Franco Rossi, è un inguaribile onnivoro, e cioè divora ogni cosa che lo attrae tranne se stesso, pretenderebbe che io obbedisca a comporre trenta righe per i suoi trent'anni di testimonianza artistica. Io credo e lui sa, che ce ne vorrebbero molte di più. È difficile capire il percorso completo di questa sua vittoria, anche per me che gli sono diventato amico, secondo un'improvvisa scansione simpatetica ed appartengo alla scuola dove lui si è iscritto tacitamente, una sera di molti anni fa, in una delle nostre contrade quando giurammo che tutto era possibile e bastava volerlo. Torno in Galleria, osservo le tele, segno le firme, ricordo i volti. Franco Rossi è dentro l'anima di ogni suo artista, ha speso l'energia diretta a star dentro l'altro. È stata una spesa esigente, che merita attenzioni... Non sarebbe male, adesso, una cura forte di sano egoismo, di ritorno a se stesso, nella galleria, da solo. Si guardi allo specchio, Franco Rossi, si soffermi, si riconosca e un poco si acquieti. Attenzione, ora, a non essere mangiato da altri. L'antropofagia, è un'arte, è di casa. Ma Laura Virginia, su a figlia, appare già dal fondo della lunga Galleria ed offre una dolce protezione.
Tonino Zana
Franco Rossi vive ed opera a Palazzolo s/O, città frontiera, città operosa. Qui il tempo scorre nei laboratori, negli uffici professionali, nell'azienda e la sera arriva senza aver avuto la possibilità di osservare una nuova pagina di cultura. Il lavoro è la cultura. A Franco Rossi è toccato il compito di legittimare la cultura, da e oltre il lavoro, attraverso la creatività artistica. Passaggio senza rete, rischio quasi eversivo rispetto al contesto di vita storico della Lombardia di allora e perfino di adesso. Rossi investe nella pittura del mondo, ha bisogno di segni mai visti prima, di profili eccitanti, di culture avanzate, fuori dai posti della regola; non fuori posto. E il 1968, la metropoli brucia di ideologie, finte e reali, di magnetismi strani. Le giovinezze percorrono la strada della contestazione, Rossi va per la strada, insegue il sogno di raggruppare le avanguardie nel posto della sua introvabile quiete, nel posto della sua città. Il sogno di radunare avanguardie mondiali e tradizionali umane nella Palazzolo del confine. Ora che il duemila è alle spalle, ora che l'avanguardia si è seduta in tanti posti, ora che i nomi d'arte, allora impronunciabili, portati a Palazzolo, nella Galleria Studio F.22 sono diventati noti e famosi, Franco Rossi si ostina a recrimare sulla sua profezia che non fu seguita, dimenticando la colpa di chi porta il futuro nel presente, la pena applicata a chi incontra, per primo, chi sta avanzando. La pena di pensare e comunicare da soli con chi - invisibile agli altri - sta parlando con te ed è venuto a perlustrare il terreno su cui verrà percepito e legittimato, molto tempo dopo. Dunque, Rossi aleggia nei dintorni del sentimento, il sentimento permanente dell'esilio, dell'essere l'apolide quasi oltraggiato per un avvistamento, per essere andato incontro, da solo, alle genialità avanzanti, e di averle riconosciute. Siamo in un capitolo, e, in parte, in un girone, il capitolo riguarda la terra di nessuno in cui sceglie di militare, di esistere la nostra natura. Franco Rossi è di natura ribelle, possiede il codice dell'arte. Si è nascosto, in fondo, dietro alle linee, ai colori, alle emozioni che sarebbe stato in grado di creare, ma che una situazione impalpabile e profonda e circostanze altrettanto insondabili gli hanno proibito di gestire direttamente. Rossi, direttamente, sarebbe l'artista. Indirettamente, è il gallerista. Il capitolo del "girone", invece, è perfino noiosamente scontato. Siamo al girone dell'invidia, del non volere affidare ad uno ciò che gli spetta, tanto più se ti è vicino. Fin quando non riconosceremo come ricchezza nostra, l'intelletto e la creatività di chi ci sta accanto, cadremo nella servitù di chi viene da lontano, costringendoci ad essere contati in una classifica avara. In fondo, le aree metropolitane conquistano le provincie proprio per questo, per essere in grado di vincere, nel loro angosciante anonimato, la potenza dell'invidia e uscire così a imporre ai paesi stremati dalle loro gelosie, il prodotto di una fatica nata nel sottoscala di un grattacielo, quando avrebbe potuto scaturire dall'inizio, dal posto in cui sei partito. Dalla piccola patria. A questo punto sarebbe doveroso rendere giustizia ad un personaggio come Franco Rossi che al timone della galleria Studio F.22, a cavallo delle provincie di Brescia e di Bergamo, da quarant'anni, ha dimostrato di avere non solo una preparazione artistica notevole, ma anche lungimiranza e acume, anticipando di trent'anni le mostre di artisti come: Scanavino, Le Parc, Perilli, Veronesi, Eielson, Bonalumi, Tornquist, Munari, Keizo, Costalonga, Soulé che altre prestigiose gallerie d'arte si pregiano di proporre in questi giorni.
Tonino Zana
Ho sempre avuto sentimenti di comprensione e di particolare simpatia per i "perdenti"; devo ammettere, che la mia più totale ammirazione e il mio massimo apprezzamento sono preda dei "vincenti". E Franco Rossi è un vincente! La sua "battaglia" comincia proprio nel 1968, anno che segna ormai storicamente la fine e l'inizio di un costume di vita. Mentre tanti giovani inseguono v aghi sogni utopistici, lui ne insegue uno del tutto realistico, anche se irto di difficoltà e di incertezze e per questo ancora più encomiabile. Il sogno che gli era nato durante i viaggi a Parigi e con cui aveva convissuto fin dalla giovane età. La sua provincia, in quegli anni, è in pieno sviluppo industriale ed economico, ma ben pochi pensano di "investire" nella cultura. É in questo contesto che da Palazzolo (non da New York) parte, autodidatta (nessuno ti può insegnare questo mestiere!), bruciando le tappe; le armi di cui dispone sono: lo slancio giovanile e un coraggio da leone e ciò che più conta, un adeguato bagaglio di conoscenza dei movimenti artistici del 900 e contemporanei, unito ad un innato e raro senso critico e selettivo. Franco punta in alto, riesce a far convergere nella sua galleria nomi grossi di artisti noti in tutto il mondo, si avvale dell'apporto di vari critici d'arte e, cosa rara, coinvolge sponsor e autorità pubbliche per grandi manifestazioni. É giusto e doveroso ora festeggiarlo per i 30 anni di attività, ma a premiarlo non siamo noi, lo sono i risultati che, con costanza, perseveranza e continua spinta al miglioramento, sono stati da lui fin qui conseguiti con lo Studio F.22.
Rinaldo Rotta Presidente Sindacato Nazionale Mercanti d'Arte Moderna
Ed ecco ora, i q'uarantanni di gallerista (privato, ma che ha fatto tanto per il pubblico!) nella "Città di Palazzolo sull'Oglio" della semipianura bresciana, di Franco Rossi, qui pioniere con Arte Moderna e Contemporanea da tutta Europa, dalle due Americhe e dal Giappone.
Ci si può domandare: ma come ha fatto a costruire un tale "faro", che è stato ed è ancora e sarà poi acceso verso l'infinito da lui e da Laura Virginia, "usque coeli et terra movendi sunt"? Sogni e poi Sogni. Ad occhi aperti. E con necessità e abilità di farli vedere, di raccontarli. E quindi dopo i trent'anni, i quarant'anni e poi... vai... Ricordo, tra gli altri artisti, Adami, Tadini, Keizo (il suo "caroeu" prediletto) che sono stati le occasioni di bellissime mostre nel suo ampio spazio Studio F.22, con inaugurazioni piene di gente felice di vedere arte e artisti, in un clima denso di curiosità e interesse sorprendenti. Era partito missionario Franco Rossi, per essere oggi degno rappresentante della scena artistica contemporanea. Sono felice per questo mio "cugino di lavoro" sull'Oglio e spero, con piacere, di avere altre occasioni di lavoro con lo Studio F.22 dove mi è sembrato di essere come a casa mia.
Auguri ai Rossi!
Giorgio Marconi
Trent'anni in arte. Trent'anni fa nasceva lo Studio F.22, poi è cresciuto fino a diventare oggi un cenacolo vitale dell'arte contemporanea. Un cenacolo collocato in un centro di provincia, a Palazzolo s/O nel bresciano. Per me, poi, che ho seguito l'attività della galleria come critico, da vicino, avvertendone le scelte, gli umori, i sussulti, le ansie, e ogni altra impresa; per me che ho avvicinato artisti, italiani e non, qualcuno scoperto e appoggiato, come Ariel Soulé, per me che ho firmato decine di cataloghi per mostre personali e rassegne di notevole importanza come "Le stanze della geometria" o "L'eco di Bacco", o "Big&Great" o "Le geometrie dell'universo" devo dire a distanza ddi anni, di aver creduto nel lavoro di Franco Rossi, un uomo eccezionale, come pochi ne ho incontrati nella mia vita. Non col desiderio dell'avventura, ma col carattere tenace e fermo, forsanche severo come è parso, fino ad oggi, ai più, ho lavorato in arte come storico e come critico militante. Militante solo dell'arte e di tutto ciò che è rientrato nel privato. Lo Stato d'altronde, in tutti questi anni, non ha fatto nulla per l'arte e per i beni culturali. L a partitocrazia battuta dal mio amico e maestro Indro Montanelli ha usato male gli spazi pubblici. Solo l'illuminata presenza di pochissimi galleristi italiani, Franco Rossi in primis, ha portato avanti una battaglia mirata e una forma di rinascimento regionale. Lo Studio F.22, in trent'anni, non ha inseguito fantasmi e mode, ma ha segnato strade intercontinentali. Nel suo spazio, sono passati artisti arrivati da più parti del mondo. Il volume per il trentennale documenta con immagini questo lavoro. Dalle Americhe, dall'Europa, presenze vive si si sono alternate. Una composita cultura ha trovato conferma nello Studio F.22 e gloria nella Biennale veneziana. Un bilancio riguardevole, un bilancio di enorme portata. Palazzolo ha fatto il giro del mondo. Le acque del fiume lombardo, l'Oglio, hanno raccolto parlate diverse. Talenti e volontà hanno dato al marchio di galleria, un'immagine di coralità culturale. Le mostre sempre accompagnate da catalogo, sono per la galleria un momento di ricerca e di memoria. Alle spalle resta tuttavia l'esperienza trentennale che l'ha consacrata alla storia culturale della piccola enclave italiana. E resta il non piccolo orgoglio di un personaggio come Franco Rossi, che ha saputo dare avvio e sviluppare una vivace istituzione culturale, aperta agli apporti di entrambe le frontiere che corrono lungo il fiume Oglio, quella regionale e provinciale, e quella più marcata del nord, che ormai ha aperto all'Europa e al mondo con il richiamo di artisti qui venuti da ogni parte. Sei lustri, trent'anni, una vita nell'arte, lo Studio F.22 e Franco Rossi sono stati testimoni di un'epoca, una delle più felici per l'arte del secondo novecento.
Carlo Franza
Trent'anni ad inseguire l'innovazione artistica, in questa seconda metà del ventesimo secolo che ha moltiplicato in cifra esponenziale i cambiamenti, sono un'eternità. Forse solo il sessantotto, con l'utopia della "fantasia al potere" è riuscito ad intravedere cambiamenti che la frenesia di questa fine secolo rende vecchi dopo l'annuncio. Trent'anni in questa bufera di cambiamento, che del cambiamento ha fatto la stessa ragione di vita, continuando a porsi sulla sua frontiera, sono un'impresa per qualsiasi iniziativa culturale. Per una galleria in provincia, non di provincia, dove l'avangurdia da sempre è guardata con un filo di sospetto, (qui lo chiamano prudenza e spesso si è rivelata utile per evitare sia di affrontare mistificazioni culturali che di cadervi), un peri odo di questa durata è prova di orgoglio e coraggio oltre che di serietà. Per reggere un ritmo di cambiamento perenne di gusti e tendenze occorre vedere oltre la moda de l momento scegliendo le innovazioni che abbiano le qualità per diventare tradizione. Queste sono le condizioni necessarie per trasformare un'iniziativa in una istituzione come è avvenuto per la galleria Studio F.22 di Franco Rossi. Spesso si afferma, con un'invidia appena malcelata, che il gallerista sia solo un mercante d'arte, dimenticando che uno dei valori sbandierato anche dai critici che vorrebbero l'arte povera o gratuita è proprio il mercato, se posta al servizio dell'uomo e della sua crescita l'economia si è sempre rivelata uno strumento serio di selezione della qualità. Nella galleria di Franco Rossi, hanno presentato le loro opere Munari, Veronesi, Le Parc, Eielson, Demarco, Perilli, Bonalumi, Tornquist, artisti che hanno segnato il cammino dell'arte di questo secolo. Non solo opere in galleria, ma artisti vivi da cui capire il senso del loro lavoro, della loro esperienza, delle loro sensazioni. Collezionisti ed amatori hanno avuto modo di confrontarsi con un orizzonte più ampio di quello della provincia, sulle pareti dello Studio F.22 sono passate opere del mondo intero con le sue contraddizioni e il suo sviluppo. E l a tradizione continua con la forza di ogni innovazione con radici solide, sviluppate gradualmente ma con costanza in ogni direzione. In Galleria sono passate tutte le tendenze dell'arte contemporanea, le sue esposizioni hanno offerto a quanti la visitavano un panorama sempre aggiornato dell'arte moderna: chi ha detto che in galleria si va solo per comperare? In una città dove manca una pinacoteca la galleria diventa, per chi vuole, il luogo possibile dell'arte, l'ambiente dove si può capire e conoscere, discutere e provare emozioni. Il successo di una galleria è legato non solo agli autori e ai visitatori ma anche ai collezionisti che garantiscono la sua continuazione, e, si sa, i collezionisti sono esigenti. In trent'anni i collezionisti che frequentano la galleria sono cresciuti e i loro acquisti sono stati determinanti per molti artisti, dando loro la possibilità di vivere d'arte. Forse questo è un lato poco apprezzato di una galleria, ma senza galleristi la vita dell'artista sarebbe un problema: il successo postumo è un'eccezione poco apprezzata da chi vive dipingendo i sogni della gente, interpretandone le emozioni e le paure.
Giancarlo Chiari
Trent'anni di attività come gallerista Franco Rossi, creatore della Galleria d'Arte "Studio F.22" di Palazzolo sull'Oglio, può celebrarli con vero orgoglio senza presunzione di sorta e senza timore di essere giudicato un idealista dell'arte. Il lavoro che egli ha compiuto merita una particolare segnalazione perché Franco Rossi si pone al di fuori del novero di moltissimi galleristi che, pure, svolgendo l a loro professione con indubbia serietà e applicato impegno. La ragione sta nel fatto che Franco Rossi inserisce nella sua attività, che per buona parte dei suoi colleghi si risolve in un fatto esclusivamente economico e commerciale, la sua profonda convinzione che l 'arte è e deve essere cultura. Solo chi riesce ad allargare in questo modo il suo orizzonte nei confronti dell'arte, può dire di aver l'animo predisposto alla cultura nel senso pieno della parola. Franco Rossi è tra questi; Lo sforzo che egli ha compiuto con sempre maggior diligenza man mano che passavano gli anni, l'ha portato alla qualificazione di esperto sì, ma, soprattutto alla partecipazione intima e diretta con il modo di sentire e di agire degli artisti. Suo scopo è stato quello non soltanto di entrare come ospite e osservatore nel "tempio" dell'arte, bensì di essere personaggio alla stessa maniera dei pittori e degli scultori. Franco Rossi ha avuto da sempre ben fissi nella sua mente questi basilari principi, il che ha permesso di comprendere perché esiste l'arte e perché esistono gli artisti. Vincendo le comprensibili difficoltà nell'allestire una galleria che potesse offrire al pubblico anche il più eterogeneo e, magari, anche il meno preparato, una visione il più ampia possibile della cultura artistica, Franco Rossi ha "portato" nel suo "Studio F.22" i nomi più prestigiosi dell'arte contemporanea sia italiana che straniera. Ne è documentazione l'elenco delle mostre presentate in questi scorsi trent'anni della sua attività e riportato in questo volume. Il vero merito di Franco Rossi è stato quello di presentare "il meglio dell'arte" contemporanea vista nelle sue molteplici e svariate sfaccettature. Non solo. Nei suoi confronti è giusto riconoscere l'intuito di aver anticipato addirittura ai tempi con proposte di artisti che, con il passare degli anni, hanno salito con onore la "scala" della notorietà in campo nazionale ed internazionale per i loro intrinseci valori, dopo averli conosciuti personalmente e dopo aver avuto la certezza che "quelli" erano artisti da apprezzare, qualunque ne fosse l'opinione corrente e la diffidenza che potevano suscitare proponendoli all'attenzione dei visitatori delle loro rassegne. Per ché, diciamolo chiaro e senza offendere nessuno, Palazzolo non è una metropoli e non ha un pubblico di centinaia di migliaia di cittadini. L'impresa di Franco Rossi poteva anche rivelarsi anche un azzardo nel senso vero della parola. Specialmente considerando che tra gli artisti che man mano comparivano, vi erano pure dei "giovanissimi" che Franco Rossi andava a "selezionare" tra le nuove promesse. I risultati gli hanno comunque e sempre dato piena ragione. Franco Rossi ha trovato anche qui perfetta corrispondenza alle sue aspettative e a quelle degli appassionati dell'arte oltre che dei collezionisti. E tutti coloro hanno imparato sin dall'inizio dell'attività di Franco Rossi la... strada per Palazzolo. Provenienti da Brescia, Bergamo e Milano, per citare solo alcuni dei capoluoghi lombardi, essi hanno anche avuto il piacere e l'onore di incontrarsi personalmente con artisti di fama mondiale ogni volta presenti alle inaugurazioni delle loro personali presso lo "Studio F.22". Franco Rossi i "suoi" artisti li vuole sempre accanto a sé e al suo pubblico. È, questo, un altro suo merito. È una ulteriore testimonianza che per lui arte e cultura si perfezionano con la conoscenza delle opere e il dialogo l'artista che tali opere ha realizzato.
Lino Lazzari
L'attività di Franco Rossi e ella sua galleria, per molti aspetti, non è che la "cartina di tornasole" della vivacità della provincia italiana. Se si elencassero le poche e selezionate esposizioni di una stagione, ci si troverebbe di fronte ad un coerente modo di intendere l'arte, espresso attraverso frammenti espositivi successivi. Tale coerenza non è facile; ed in provincia, la necessità del compromesso è spesso forte. Il cammino dello Studio F.22 appare segnalabile proprio per questa interna coerenza. La storia della "provincia bresciana" ha una sua verità, una sua peculiarità: e tra queste, trova uno spazio l'attività di una galleria, che propone a Palazzolo sull'Oglio, per citare due nomi esemplari, Luigi Veronesi a fianco di Valerio Adami. Franco Rossi attento ad un proprio rigore, ad una propria concezione dell'arte, che si basi su ritmi, ordini, misure, ha immagini p er un quarto di secolo di storia, legando il suo nome ad alcune vicende, approdate per suo tramite in un'area, dominata da differenti componenti cultura li. Le scelte della Galleria hanno dunque tentato di coniugare il bisogno di una serie di proposte, che anche altrove, attraverso altre attività espositive, avevano trovato spazio; la necessità di coniugare le scelte con un proprio individuabile convincimento, senza rincorrere le mode; la capacità, infine, di comprendere la provincia, così da rendere accettabili proposte anche ardite, all'interno di un mondo collezionistico, che pigri non è (non lo è mai stato). È nata, in questa luce, la scelta di fare della propria attività il riferimento esemplare per alcune componenti di ricerca, in parte anche in contrasto, o,almeno, dialetticamente commisurantesi: è il caso di Tornquist che dialoga con Perilli, o quello di un Le Parc che dialoga con le opere del grande Scanavino: la scelta della coerenza ad una certa misura, cadenza, ritmo, non rimane ancorata né chiusa in un'unica dimensione. Per questo, le ricerche che si muovono in una provincia con un'attenzione ad alcune componenti culturali della ricerca artistica, aiutano anche chi deve cercare di rendere conto ad un pubblico attento delle vicende d'arte: diceva Fubini che la grande arte crea la grande critica; allo stesso modo, mediando da una osservazione tanto profonda quanto vera, le puntuali attività espositive rendono possibile alla critica di dar fondo alle proprie competenze, facendo gradevole un lavoro di mediazione, che è peculiare al compito critico.
Mauro Corradini